Nel cuore del Giappone esiste un luogo che ha dello straordinario. Una piccola caffetteria che serve un caffè dal profumo intenso e avvolgente, capace di evocare emozioni lontane. Di far rivivere un momento del passato in cui non si è riusciti a dare voce ai propri sentimenti o si è arrivati a un passo dal deludere le persone più importanti. Per vivere quest’esperienza unica basta seguire poche e semplici regole: accomodarsi e gustare il caffè con calma, un sorso dopo l’altro. L’importante è fare attenzione che non si raffreddi. Per nessuna ragione. Ma entrare in questa caffetteria non è per tutti: solo chi ha coraggio può farsi avanti e rischiare. Come Yayoi, che, privata dell’affetto dei genitori quando era ancora molto piccola, non crede di riuscire ad affrontare la vita con un sorriso. O Todoroki, cui una carriera sfavillante costellata di successi non ha dato modo di accorgersi della felicità che ha sempre avuto a portata di mano. O ancora Reiko, che non ha mai saputo chiedere scusa all’amata sorella e ora si sente schiacciata dal senso di colpa. E Reiji, per cui una frase semplice come «ti amo» rappresenta ancora un ostacolo invalicabile. Ciascuno vorrebbe poter cambiare quello che è stato. Riavvolgere il nastro e ricominciare da capo. Ma cancellare il passato non è la scelta migliore. Ciò che conta è imparare dai propri errori per guardare al futuro con ottimismo.
Questo è il terzo libro che leggo di Kawaguchi e penso proprio che sia diventato il mio autore del cuore.
Vi parlo del terzo volume della serie di Finché il caffè è caldo, ovvero Il primo caffè della giornata.
Il mood della storia è sempre lo stesso: c’è questa caffetteria dove è possibile tornare indietro nel tempo, non si può cambiare il passato, ma il confronto aiuta le persone a convivere con i propri dolori, ad accettarli e ad andare avanti. Il viaggio si deve terminare prima che il caffè si raffreddi. Filo conduttore dei racconti che compongono i libri è la caffetteria e la famiglia che la gestisce.
Nei primi due volumi il lettore si concentra sui protagonisti delle varie storie, ma in questo terzo capitolo, anche se la struttura e la dinamica è sempre la stessa, ho notato un maggior approfondimento sulla famiglia Tokita, quindi vi parlerò del libro soffermandomi su questo punto di vista della storia.
Nel primo volume conosciamo meglio il burbero, ma anche dolce Nagare, nel secondo c’è un approfondimento su sua cugina Kazu, in questo terzo volume si torna a parlare di Nagare e di sua madre, la signora Yukari Tokita. Proprio per quest’ultimo personaggio, Nagare con sua cugina e sua nipote, per un periodo, lasciano la caffetteria a Tokyo e si trasferiscono alla caffetteria di Yukari che si trova a Hokkaido, dove è possibile anche qui viaggiare nel tempo. Abbiamo le stesse regole, con quasi lo stesso personale della caffetteria di Tokyo e con un fantasma diverso che occupa la sedia.
Kawaguchi affronta le problematiche delle relazioni umane in modo delicato e sensibile.
Anche in questo volume si parla di elaborazione del lutto, di amore, di famiglia, di rimorsi, di aspirazioni di vita, di amicizia e l’autore è capace di coinvolgere storia dopo storia. Forse l’unica “pecca” è che la dinamica malattia/morte si ripete troppo spesso nelle storie, ma è una questione di gusti.
In questo scenario, con un’ambientazione intima e il più delle volte malinconica, c’è la piccola Sachi che con la sua dolcezza e ingenuità infantile alleggerisce alcune scene, ma mantiene la sua serietà nel momento in cui deve versare il caffè perché nella famiglia Tokita solo le donne posso farlo nel momento in cui compiono sette anni.
Insomma, se vi è piaciuto Finché il caffè è caldo e Basta un caffè per essere felice, vi straconsiglio questo terzo volume!
#Prodottofornitoda @Garzanti
Basati sulle conferenze che Donald Keene tenne alla New York Public Library, al Metropolitan Museum of Art e alla University of California di Los Angeles, i cinque saggi che compongono questo volume costituiscono una perfetta introduzione alla letteratura giapponese classica. Partendo da un’analisi dei tratti che contraddistinguono l’estetica giapponese – espressione, in gran parte, dell’atteggiamento nei confronti del mondo e dell’esistenza –, Keene ripercorre la storia della poesia, della narrativa e del teatro giapponesi nel corso di più di un millennio, considerandone temi, generi e tradizioni. Dalle poesie sulla natura e le stagioni a quelle sull’impermanenza di tutte le cose; dai romanzi che raccontano la vita e gli amori degli uomini e delle donne di corte ai suggestivi drammi del repertorio nō, fino alla comicità rumorosa del kabuki, quello che emerge è un panorama ricchissimo per forme e contenuti, manifestazione di una cultura raffinata che affascina da sempre il pubblico occidentale.
Un piccolo saggio che introduce al mondo della letteratura giapponese.
Donald Keene ha insegnato letteratura giapponese e nel corso dei suoi anni di lavoro ha fatto delle conferenze da cui sono nati i cinque saggi che compongono questo volume edito Lindau.
Se siete inesperti del tema e vi state avvicinando alla letteratura giapponese, vi consiglio questo libro perché è proprio una base, una prima infarinatura che vi dà ottimi spunti bibliografici per approfondire alcuni aspetti letterari.
Keene parte con l’esplorazione del concetto dell’estetica giapponese, identificando i quattro aspetti del gusto nipponico, per poi sondare il terreno della poesia, della prosa e del teatro.
Ammetto di non essere una grande amante della poesia, ma Keene è riuscito a catturarmi nella narrazione storica e nella sua evoluzione. I saggi che ho trovato più interessanti sono sicuramente quelli che riguardano la prosa e il teatro. Nel primo Keene fa riferimento ad alcuni testi tra cui quelli più classici come la Storia di Genji, il Kojiki e tanti altri, nel secondo si parla dei due teatri più conosciuti, ovvero il Kabuki e quello del No, ma si riscontrano tipologie di teatro anche più antiche e che traggono origine da quello cinese.
Insomma, se siete interessati a questo universo orientale, sicuramente questo saggio è un ottimo punto di partenza.
#Prodottofornitoda @Lindau
Kōko, insegnante di pianoforte part-time e madre single di una figlia che disapprova le sue scelte, avverte con turbamento dentro di sé i segnali di una gravidanza non pianificata. Il germogliare della nuova vita, l’eco del passato e il susseguirsi di eventi fuori dal suo controllo la spingono a intraprendere un viaggio al limitare tra la coscienza e il sogno che la condurrà all’indimenticabile rivelazione finale – dopo la quale Kōko proclamerà il suo silenzioso trionfo in un’insurrezione contro qualsiasi norma, riconquistando un terreno di autentica fertilità nel radicale atto di fedeltà verso sé stessa.
Mi sono avvicinata a questo libro per il nome dell’autrice.
Yuko Tsushima era figlia di Osamu Dazai, un autore che nello scenario postbellico della letteratura giapponese ha avuto un grande rilievo. Dell’autore ho nella libreria “Lo squalificato” che non ho avuto ancora modo di leggere, ma dopo aver conosciuto la penna della figlia, approfondirò anche il modo di narrare del padre.
Ma torniamo a noi.
Il figlio della fortuna è una storia lineare, intima e introspettiva.
La storia esplora la psiche di Koko, una donna volubile, incerta nella vita, che non sa cosa vuole, contraddittoria e che ha avuto un trascorso sentimentale burrascoso. L’autrice tocca tutte le sue problematiche, andando a sondare anche alcuni problemi sociali della cultura giapponese: come il concetto di adeguarsi a un prototipo di “normalità” (donna felicemente sposata con figli). Si parla anche della sessualità femminile e soprattutto della maternità.
Koko ha una relazione “lampo” con Hatanaka, dopo neanche un mese vanno a convivere insieme, lei esce incita e si sposano. Koko si lascia trascinare dagli eventi, pensando che sia la cosa giusta o la cosa più “normale” da fare, eppure già nota che qualcosa non va nel momento in cui nasce la figlia Kayako perché non ha il desiderio di vederla. Il tempo passa. Questa relazione finisce, Koko a malapena riesce a provvedere a se stessa e così lascia che sia sua sorella (che ha la tipica famiglia perfetta) a prendersi cura di Kayako.
Ho trovato molto interessante il contrasto netto tra madre e figlia: Koko è trasandata, non ha ambizioni e non riesce a gestire le situazioni della sua vita, a differenza di Kayako che ha solo undici anni eppure sembra lei l’adulta tra le due che è ambiziosa, determinata, precisa e razionale.
In un’alternanza tra presente e passato il lettore segue il percorso di vita di Koko e il suo stato emotivo e psicologico. A un certo punto sa di aspettare un bambino e la sua mente vaga riguardo alle ipotesi sul futuro. E quando si pensa di aver capito quale sarà la direzione della storia ecco che arriva un colpo di scena che spiazza e subito dopo un finale che lascia un po’ nell’incertezza il lettore.
Un romanzo intimo con una protagonista particolare che non si vuol far ben volere dal lettore, ma si mette a nudo, trascinandolo nelle sue riflessioni, toccando le corde più delicate dell’animo umano.
#Prodottofornitoda @Safarà Editore
Shinako non può dimenticare Shozo, il marito che l’ha cacciata e si è subito accasato con l’altra, la rivale, la bella Fukuko. Certo dovrebbe odiare quell’uomo perfido e infedele, serbargli rancore, ma non soltanto non può, ma desidera ardentemente tenere con sé almeno un ricordo del loro matrimonio, della casa piena di felicità costruita insieme. E quale ricordo migliore di Lily per alleviare il dolore e la tristezza? Lily, la gatta così amata dal suo ex consorte da spingerlo a eccessi svenevoli e morbosi, come giochicchiare ogni sera con lei imboccandola con piccoli sugarelli marinati in salsa di soia e aceto? Quando Shinako viveva sotto lo stesso tetto di Shozo non sopportava di vedere il marito rivolgere le sue affettuose attenzioni alla gatta e, per ripicca, la trattava male di nascosto. Ora, però, prova un’immensa nostalgia per tutto ciò che c’era in quella casa e in particolare per Lily.
Una storia breve e scorrevole che ho trovato a tratti comica.
Questa è la prima volta che leggo un titolo di Tanizaki. Sento sempre parlare bene di questo autore orientale e, anche se so che questo titolo non è tra i migliori che ha scritto, mi sono fatta conquistare dalla presenza della gatta e dalla trama che mi sembrava un bel po’ bizzarra.
Il protagonista di questa storia è Shozo, un uomo infantile e fannullone che prova un grande amore per la sua gatta Lily. Le attenzioni amorevoli che rivolge l’uomo alla sua gattina hanno scaturito la gelosia prima di Shinako (ex moglie) e poi di Fukuko (l’attuale moglie).
La scrittura di Tanizaki è scorrevole e diretta, la storia intrattiene fin dalla prima pagina e anche se la regina del libro è proprio Lily perché tutto gira intorno a questa figura felina, c’è anche una discreta caratterizzazione dei personaggi.
Shozo è un uomo bambinone e infantile, non è perfetto, nel suo percorso ha fatto degli errori, eppure quando incontra Lily il suo universo si riduce a lei. Credo che tutti cambiamo quando stiamo con il nostro animale domestico, io personalmente divento scema quando sto con i miei gatti. Ed è proprio questo che succede a Shozo. Shinako è un personaggio che cerca di ricostruire se stessa, di uscire dalla propria solitudine, mentre Fukuko è una donna volubile, frivola, che cambia facilmente l’umore.
Insomma con questo trio di umani, insieme anche alla madre di Shozo, Lily riesce a tenere quasi tutti ai suoi comandi in un modo o nell’altro. Perché, come dico sempre, la vita è fatta per i gatti XD!
C’è una radio che non ha bisogno di microfoni, frequenze e studi di registrazione perché va in onda soltanto nell’immaginazione di chi l’ascolta. Il suo speaker è “il superlogorroico dalla lingua sciolta” DJ Ark che trasmette dalla cima di una cryptomeria. DJ Ark ha la netta sensazione di trovarsi impigliato tra i rami di quella pianta da un bel pezzo, ma ha un vago ricordo di ciò che gli è accaduto. Ricorda soltanto di aver sentito uno strattone improvviso e di essere stato sballottato e trascinato a decine di metri dal suolo da una forza improvvisa.
Una storia onirica, surreale e bizzarra che trae origine dalla tragedia avvenuta in Giappone nel 2011: ovvero il terremoto e lo tsunami con la conseguenza del disastro nucleare a Fukushima.
Il protagonista è DJ Ark, un uomo che all’improvviso inizia il suo programma radiofonico, tra riflessioni sulla vita, monologhi del suo passato e conversazioni con gli ascoltatori, ma la particolarità di Radio Imagination è che la possono sentire solo le anime dei defunti che si aggirano ancora in questo mondo dopo il terremoto e lo tsunami che li ha travolti.
Questo è il primo libro che leggo dell’autore e ho trovato il suo stile delicato e scorrevole. Il lettore si trasforma in un ascoltatore del programma radiofonico e tra un monologo e un altro DJ Ark parla della sua vita, del suo passato, di come non sia fiero di quello che è, ma racconta anche con affetto e amore di suo figlio e sua moglie, persone che cerca in tutti i modi di contattare senza successo.
Durante la storia arrivano le voci degli altri ascoltatori e mano, mano, l’atmosfera surreale e bizzarra si trasforma in qualcosa di più cupo e inquietante: la realtà dei fatti. La tragedia che ha colpito le persone inizia a farsi ben chiaro nella mente di tutti, anche nel nostro protagonista.
Una storia particolare che mi ha intrattenuto.
Speravo che mi prendesse di più emotivamente, ma nel complesso è un libro che vale la pena di essere letto.
Lo scrittore Samukawa s’improvvisa detective quando conosce una donna affascinante, Shizuko, che gli confida di essere perseguitata da un innamorato respinto che la terrorizza minacciando di uccidere lei e suo marito. Lo scrittore si trova così implicato in una storia misteriosa dove l’identità del colpevole appare sempre più sfuggente. Quando la ricerca dell’assassino del marito sembra non approdare più a nulla, un piccolo particolare, il bottoncino di un guanto, fa capire a Samukawa che tutto il castello delle sue deduzioni è fondato su un errore e che il colpevole è più vicino di quanto egli avesse immaginato.
Ho conosciuto Edogawa Ranpo con il libro Il demone dai capelli bianchi, una storia che trae ispirazione dal Conte di Montecristo (stesso l’autore lo dice) che è riuscita a conquistarmi con la sua prosa coinvolgente e l’ambientazione cupa.
Questa volta ho deciso di provare a uscire un po’ dalla mia confort zone di lettura e mi sono immersa nella lettura de La belva nell’ombra, un giallo dalle tinte oscure e grottesche.
La storia parla di uno scrittore di romanzi polizieschi di nome Samukawa che inizia un’amicizia con la bellissima Shizuko, una sua grande fan. Un giorno Shizuko confessa allo scrittore che è perseguitata dalle lettere minacciose di un suo ex amante e così Samukawa decide di aiutarla nel risolvere il problema.
Come esperienza di lettura, fuori dai miei soliti generi, devo dire che non è andata male. La scrittura di Ranpo la trovo sempre molto coinvolgente, si entra in contatto con i personaggi e il lettore prova a ragionare con Samukawa al fine di scovare il colpevole.
Ranpo prende in considerazione il concetto delle maschere, stesso concetto che ho trovato anche ne Il demone dai capelli bianchi. Ho apprezzato come ha inserito questa dinamica e come ha evoluto la storia tenendo alta la tensione. Si parla di passione e di pazzia in un modo che ho trovato teatrale.
Anche se non è un libro che mi ha fatto impazzire (molto probabilmente per il genere) è stata comunque una piacevole lettura che mi ha tenuta compagnia.
Noriko vive una vita forse fin troppo tranquilla. È una scrittrice sulla cinquantina da qualche tempo ferma in una palude di tristezza camuffata da abitudine: il libro che sta scrivendo è bloccato da mesi, e nulla sembra andare per il verso giusto. Alla ricerca di una svolta, Noriko fa visita a un santuario shintoista e sussurra: «Dammi la felicità». Il giorno dopo, quasi fosse un segno soprannaturale, vicino al ceppo della magnolia davanti a casa sua, piantata tanti anni prima dal padre, qualcosa si muove nell’aiuola. È una gatta randagia che sta dando alla luce una cucciolata! Nessuno nel vicinato è disposto a prendersi cura dei gattini appena nati: inizia cosí la sua convivenza con questi animali di piccole dimensioni ma capaci di portare un grande cambiamento nella vita di Noriko. E pensare che a lei i gatti nemmeno piacevano… “La mia vita con i gatti” è il diario delle giornate che Noriko trascorre in compagnia dei suoi ospiti felini, ma non solo: grazie a loro, infatti, Noriko farà incontri speciali e scoperte sorprendenti su se stessa, la vita e, soprattutto, la felicità e la sua ricerca.
Una storia delicata, adatta per chi desidera un romanzo dolce che parla di amore per gli animali e per la famiglia.
Noriko è una donna matura che ha deciso di non sposarsi, semplicemente perché non ha trovato la persona giusta. Abita con sua madre, lavora come freelance e vive un periodo particolarmente stressante e buio in cui si sente persa: non riesce ad andare avanti con il suo libro, inizia a mettere in discussione le sue scelte di vita, dubita di se stessa. Avvolta da questo stato d’animo, un giorno lei e la madre troveranno una sorpresa nell’aiuola davanti casa: una gatta con cinque cuccioli.
Sia Noriko che la madre non sono amanti dei gatti, ma trovandosi alle strette e non sapendo a chi affidarli, decidono inizialmente di prendersene cura. Noriko osserva la crescita dei cuccioli, l’amore e la cura che ha la loro madre. I giorni passano e, mentre la protagonista si affeziona ai nuovi arrivati, per lei inizia anche un percorso emotivo che l’aiuterà ad apprezzare la felicità nelle piccole cose.
Il ritmo è lineare e lo stile di scrittura è delicato e scorrevole. Non è un romanzo avvincente, non aspettatevi colpi di scena, si parla di una storia che tratta della quotidianità di Noriko, la cui vita viene stravolta dall’arrivo inaspettato dei gatti. Spesso ci sono anche dei ricordi passati e il lettore scopre qualcosa in più sulla vita della protagonista e delle persone che le sono intorno.
La mia vita con i gatti è quel tipo di lettura che definisco confortevole come una coperta morbida. Una storia che si avvicina “in punta di piedi”, già sai che non vuole essere pretenziosa, ma vuole solo coccolarti in una quotidianità dallo sfondo orientale, trasportandoti nelle tradizioni di questa cultura e accennando in alcuni passaggi anche al folclore nipponico.
Consiglio questa lettura a chi ama i gatti in particolare e a chi ha voglia di una lettura non impegnativa, ma che tenga compagnia.
#Prodottofornitoda @Einaudi
Lo sceneggiatore alcolizzato Hayakawa ha ormai perso ogni ispirazione e trascina le sue giornate tra la casa e il bar in cui lavora la sua pseudo-ragazza. Ma questa routine è improvvisamente interrotta dalla telefonata della sua ex, Renko, regista di successo con cui anni addietro ha condiviso casa e lavoro, che gli chiede di andare a trovarla per dare un ultimo saluto a Son, il loro vecchio gatto, ormai prossimo a lasciare questo mondo. Nonostante Renko sia ora sposata con Miyata, e che questi mal sopporti il ritorno di Hayakawa nella vita della moglie, quest’ultimo si offre di aiutarli nel badare a Son, nella loro casa, affinché non resti mai da solo. Tra tuffi nel passato, considerazioni sulla propria vita e sulle scelte fatte o meno, questo rapporto a tre più l’amato gatto segnerà e cambierà le esistenze di tutti.
Autore orientale più gatto, per me è la combo perfetta!
Mi sono avvicinata a questo titolo un po’ “in punta di piedi”, non sapendo esattamente cosa aspettarmi.
Hayakawa è uno sceneggiatore insoddisfatto della sua vita che ha seri problemi con l’alcol. Un giorno viene contattato dalla sua ex fidanzata Renko, la quale lo informa che manca poco da vivere al loro gatto Son e quindi lo invita a casa per un ultimo saluto. Anche se un po’ restio, Hayakawa va a casa di Renko, dove vive con suo marito Miyata, e tra una parola e un’altra deciderà di fare assistenza al gatto quando i due coniugi non sono a casa, fino all’ultimo respiro di Son.
Partiamo con il dire che il protagonista non è il gatto, esso è il legame che determina alcune dinamiche, ma la storia parla principalmente di Hayakawa.
Il punto di connessione della storia è proprio Son, il gatto che è entrato un po’ per caso e un po’ prepotente nelle vite di Hayakawa e di Renko quando stavano insieme. Il felino si lega fin da subito alla ragazza e per questo motivo, nel momento della rottura con Hayakawa, Renko decide di portarlo via con sé.
In un’alternanza tra presente e passato, l’autore racconta la storia di Hayakawa.
Nelle scene passate il lettore scopre la storia della coppia protagonista, del loro rapporto, dei loro sogni, delle loro ambizioni, e anche dei momenti di crisi. Nel tempo presente Hayakawa dovrà vedersela con il taciturno e freddo Miyata, il quale, giustamente, non è molto felice di avere sempre in casa l’ex fidanzato di sua moglie.
Da amante dei gatti mi sono subito affezionata a Son, il quale è molto realistico, spesso nei suoi comportamenti ci ho rivisto quelli dei miei gatti. Per quanto riguarda i tre personaggi principali sono caratterizzati molto bene. Hayakawa si troverà a confrontarsi soprattutto con se stesso, cercando di riprendere in mano la sua vita, Renko è una donna che ha avuto alti e bassi e il suo porto sicuro è sempre stato Son. Mi è piaciuto anche molto il silenzioso e apparentemente freddo Miyata.
Ho apprezzato molto la descrizione del rapporto tra Renko e Son, quel rapporto quasi simbiotico che si instaura tra un animale e il proprio padrone.
I gatti non ridono è una storia delicata, dal tono dolce, che parla di vita, dell’amore tra un umano e il proprio animale, dei rapporti e della ricerca di se stessi con quel velo di malinconia tipico della narrazione giapponese.