Anna Carlson ha vent’anni ed è stata adottata. Dopo la morte della madre adottiva, decide di fare un viaggio in Corea per scoprire le sue origini. Ma grande è il suo sconforto quando scopre che la sua vera madre è deceduta nel darla alla luce. Proprio quando sembra che la sua ricerca sia finita, Anna viene avvicinata da una anziana signora, Jae-hee, che le dice di essere sua nonna e le consegna un pettine raffigurante un drago di avorio con due teste e le zampe con cinque piedi ciascuna. Jae-hee a quel punto racconta alla ragazza una storia che ha inizio nel 1943, quando Jae-hee e sua sorella Soo-hee vengono reclutate dall’esercito giapponese, che aveva occupato il Paese, per lavorare in una fabbrica di stivali. Il padre è disperso in guerra e non farà mai ritorno. In realtà le ragazze diventano comfort girls, cioè prostitute, schiave sessuali dei soldati giapponesi per un paio d’anni: vengono sottoposte a violenze indicibili, subiscono la fame e umiliazioni quotidiane. Jae-hee ha una posizione leggermente migliore rispetto alle altre perché diventa la favorita del colonnello. Soo-hee resta incinta e, al momento della disfatta dei giapponesi, sembra in punto di morte per un aborto fatto con mezzi inadeguati. Tutte le altre ragazze vengono uccise, mentre Jae-hee è l’unica sopravvissuta… Mentre la narrazione di Jae-hee prosegue, Anna scopre che il prezioso pettine a forma di drago è sopravvissuto, contro ogni previsione, attraverso generazioni di donne della sua famiglia.
Vi capita mai di leggere un libro talmente bello, che vi ha preso così tanto emotivamente da non trovare le parole per descriverlo?
Ecco, questo è il caso de Le figlie del dragone.
William Andrews con questo romanzo decide di portare alla luce un evento storico che negli anni è stato “dimenticato”, ma forse è meglio dire accantonato o nascosto, dalla società orientale. Durante la seconda guerra mondiale, l’esercito giapponese prendeva giovani ragazze, anche tredicenni, soprattutto coreane (e non solo), e le costringevano a diventare donne di conforto. Queste povere donne vivevano strappate dalle loro famiglie e dal loro paese per essere violentate nelle stazioni di conforto al servizio dell’esercito Giapponese.
Il lettore conosce Anna Carlson, una ragazza di vent’anni che decide di partire per la Corea per conoscere la sua madre biologica. Purtroppo una volta giunta a destinazione scopre che la donna è morta, ma Anna conoscerà sua nonna Jae-hee che le racconterà la sua vita e dell’importante compito che deve portare a termine.
Come si intuisce, la vera protagonista della storia non è Anna, ma proprio Jae-hee, la quale racconta di quando lei e sua sorella sono state portate con l’inganno alla stazione di conforto dai giapponesi. La vita di Jae-hee è piena di violenze, sconfitte, porte chiuse in faccia e delusioni. Una donna che ha dovuto combattere contro tutti, trovando difficilmente degli alleati.
Un libro intimo, intenso e vibrante di emozioni. Ho amato ogni cosa di questo romanzo: lo stile fluido, la caratterizzazione dei personaggi, le ambientazioni, i richiami alla cultura orientale, ma ammetto anche di avere avuto un po’ di difficoltà nella lettura con la prima metà del libro dove vengono descritte le violenze che subisce Jae-hee. Per questo motivo più di una volta mi sono trovata a interrompere la lettura per riprendermi, quindi, per quanto penso che sia un libro che tutti dovrebbero leggere, sono anche dell’idea che se siete facilmente impressionabili è meglio pensarci due volte prima di iniziare questa lettura.
Una lettura che mi ha coinvolta emotivamente fin dalle prime pagine e mi ha tenuta compagnia fino alla fine lasciandomi il cuore infranto e un velo di malinconia.