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Il Priorato dell’Albero delle Arance di Shannon | Recensione

Il priorato dell’albero delle arance

Shannon

Il romanzo fantasy dell’anno. La casa di Berethnet ha regnato su Inys per mille anni ma ora sembra destinata a estinguersi se la regina Sabran IX non si sposerà e darà alla luce una figlia. I tempi sono difficili, gli assassini si nascondono nell’ombra della corte. A vegliare segretamente su Sabran c’è Ead Duryan, adepta di una società segreta che, grazie ai suoi incantesimi, protegge la sovrana. Ma la magia è ufficialmente proibita a Inys… Tra draghi, lotte per il potere e indimenticabili eroine, l’epico fantasy al femminile per il nuovo millennio.

La creatura fluttuò oltre il ponte con la grazia di un nastro di seta e si librò in cielo leggera e silenziosa come un aquilone.
Un drago.

Un epic fantasy con intrighi di corte, magia e draghi. 

Mi trovo veramente in difficoltà a dirvi di cosa tratta questo libro perché la storia è così immensa, così dettagliata e così particolare che rischierei o di fare spoiler o di essere troppo prolissa, quindi cercherò di stringere e di dire solo le cose che mi hanno colpito particolarmente.

I capitoli si alternano con due macro ambientazioni, una a Oriente e una a Occidente dove vengono trattate le varie storie, e in cui si scoprono i diversi regni.
Ci sono quattro narratori, ma vi parlerò di quelli che mi hanno più colpito.
Nella storia a Oriente il lettore conosce Tané, un’orfana seiikinese che studia per diventare un cavaliere di draghi. Un personaggio che mi ha molto incuriosito fin da subito, soprattutto per la sua tenacia nel realizzare il suo sogno. 
In Occidente abbiamo un’atmosfera, totalmente diversa dalla prima, che ricorda più le classiche corti medievali. Qui il lettore conosce Ead Duryan, che ha il compito di vegliare segretamente sulla regina Sabran, la quale non si è ancora sposata e il regno è in crisi proprio perché non ha dato alla luce ancora un erede. Il lettore scoprirà varie storie parallele che alla fine si intrecceranno in modo avvincente.

I draghi sono gli animali fantastici portanti della storia perché vengono visti in maniera diversa in base alla cultura del regno in cui ci troviamo. In alcuni regni, come in quello in cui si trova Tanè, i draghi vengono venerati, mentre su altri fronti queste bestie sono considerate il male.  Questo perché c’è la leggenda del Senza Nome, ovvero il drago più pericoloso e potente di tutti che ha creato scompiglio molti anni prima e che sembra stia per tornare. Tale leggenda è presente in ogni regno, ma in base alle credenze ci sono delle varianti.

Il world-building che crea Shannon è  particolare, dettagliato e variegato. Punto di forza sono sicuramente le ambientazioni, l’autrice crea più regni, ognuno con i propri usi e costumi, la propria storia e religione, dando una buona caratterizzazione delle varie società. Personalmente ho avuto molta difficoltà e entrare nella lettura perché Shannon introduce nello stesso momento tantissimi personaggi, spiegando le varie parentele e alcuni intrighi di corte. Non ho avuto il tempo di affezionarmi a qualcuno di loro proprio perché sono stata troppo impegnata nel cercare di ricordarmeli. Avrei preferito che i personaggi venissero introdotti man, mano nella storia, così da familiarizzare.

Il Priorato dell’Albero delle Arance è un libro che rievoca l’atmosfera del Trono di Spade, e ha tutti gli elementi essenziali che caratterizzano un Epic Fantasy con tanto di intrighi di corte. Ma qui, a differenza dei classici del genere che ricordiamo, c’è una bella presenza femminile con personaggi forti e determinati.

Si tratta di una lettura impegnativa, non solo per la moltitudine di personaggi che compaiono, ma anche per la quantità di informazioni che dà l’autrice. Personalmente ho dovuto spesso guardare la cartina, il glossario e l’elenco dei personaggi a fine libro, perché mi perdevo nelle descrizioni e nelle nozioni. Una storia sicuramente avvincente, che mi ha intrattenuto, ma che personalmente non mi ha fatto scattare l’amore, forse perché ho avuto questo rapporto con la storia un po’ complesso all’inizio. 

Il Priorato dell’Albero delle Arance è un intreccio di magia, avventura, cospirazioni, tradimenti e il “mai una gioia” è sempre dietro l’angolo. Ho apprezzato tantissimo i personaggi femminili che sono un bel mix di forza e debolezza, e ciò non fa altro che esaltarle. Ci sono dei bei messaggi femministi, si parla di amore e anche di lgbt. Insomma una storia piena di messaggi che intrattiene il lettore in questa avventura molto articolata. 

Se siete amanti delle storie con tantissimi personaggi dove ci sono draghi, magia, amore e dei bei messaggi importanti, allora Il Priorato dell’Albero delle Arance è sicuramente una lettura da fare. 

#Prodottofornitoda @OscarVault

L’avvelenatrice. Marie-Madeleine d’Aubray di Dumas | Recensione

L’avvelenatrice. Marie-Madeleine d’Aubray

Alexandre Dumas

Prima di conoscere la fama grazie alle sue opere più celebri, Alexandre Dumas si dedicò alla stesura di romanzi che narravano i crimini più efferati e storicamente noti. “L’avvelenatrice” fa parte proprio dei suoi “Crimes Célèbres” e racconta la storia della marchesa di Brinvilliers, spietata serial-killer del XVII secolo che per rendiconto personale non si fece scrupolo di uccidere, avvelenandoli, parenti e conoscenti.

A ventott’anni  la marchesa di Brinvilliers era in tutto lo splendore della beltà: di statura piccola, ma di forme perfette, aveva volto tondo, d’incantevole leggiadria. 

La cronaca di una serial killer del XVII. 

Tutti conoscono Dumas per le sue opere più celebri come Il Conte di Montecristo e I tre moschettieri, ma pochi sanno che ha realizzato anche una serie di racconti che narrano i crimini più efferati e storicamente noti. 

In uno scenario parigino del seicento, il racconto narra la storia della Marchesa Brinvilliers e del suo amante, di come la donna si avvicina all’arte dei veleni, dei suoi peccati e dei suoi vizi. Il lettore segue la vicenda e gli enigmi del caso.

Mi piacciono molto le storie che prendono spunto da avvenimenti storici e per quanto abbia trovato interessante  la storia della Marchesa, purtroppo il racconto non mi ha molto coinvolta. Più che un racconto Dumas fa una cronaca dei crimini, prendendo in considerazione fonti attendibili. Proprio per come sceglie di narrare la storia Dumas, i personaggi sembrano non avere molto corpo perché il tutto appare distante e per questo motivo non sono riuscita a farmi coinvolgere particolarmente dalla lettura. 

L’edizione realizzata dalla casa editrice AbEditore è spettacolare, pensata e lavorata nel minimo dettaglio e in linea con la storia cruenta e misteriosa. La grafica particolare di questo piccolo libro non riguarda solo la copertina, ma anche l’interno con un’impaginazione chiara e una attenta scelta dei font utilizzati. 

Anche se la lettura non mi ha particolarmente esaltata, trovo che sia comunque un libro da leggere per esplorare un Dumas non molto conosciuto, e poi questa edizione è uno spettacolo per gli occhi. 

Tutti giù per aria di Rosella Postorino | Recensione

Tutti giù per aria

Rosella Postorino

Tina non sa cosa le è saltato in mente quel pomeriggio, quando ha accettato di giocare a pallavolo con i compagni. Di solito fa solo le cose che sa fare bene, perché ha sempre paura di sbagliare. Gli altri bambini la chiamano ‘perfettina’ e non la trovano molto divertente: la perfezione non ha mai fatto ridere nessuno! La palla cadrà nel fume, Tina per riprenderla precipiterà giù da una cascata e da qui tutto avrà inizio. Recuperata da un’enorme signora-mongolfera, viene portata in volo fino a uno strano paese, pieno di personaggi strampalati, quel giorno in festa per la Fiera degli Scarti e l’annuale Caccia al Tesoro. Chi arriverà primo? Ma soprattutto, cosa vinceranno gli altri? Perché, quando si gioca insieme, nessuno perde mai.

Tina faceva tutto bene, e quello che non sapeva fare bene preferiva non farlo. Per esempio non raccontava mai le barzellette e neppure si avvicinava al gruppo quando i compagni se le raccontavano. Aveva sempre paura di non capirle, di ridere al momento sbagliato o di fare scena muta quand’erano finite. 

Una storia per ragazzi avventurosa e fantasiosa.

Rossella Postorino è un’autrice che tutti conoscono per “Le assaggiatrici”, romanzo che ha vinto il Premio Campiello, ma con “Tutti giù per aria” l’autrice fa il suo esordio nella letteratura per ragazzi. 

La protagonista è Tina, una bambina di otto anni che ha paura di sbagliare e che per questo motivo fa solo ciò che le riesce bene. Per il suo essere “perfettina” non è ben vista dai suoi compagni di scuola. Un giorno si troverà a giocare a pallavolo con gli altri bambini, la palla cadrà nel fiume e Tina, per riprenderla, precipiterà da una cascata che la porterà in un mondo surreale con personaggi bizzarri. 

Tutti giù per aria è una storia leggera e fantasiosa. Tina è una protagonista deliziosa e, leggendo di lei, mi sono ricordata di alcune situazioni di quando ero bambina. La storia prende corpo quando Tina viene salvata da Gianna Baloon, la signora mongolfiera, e questa è solo una delle persone bizzarre che Tina incontrerà nella sua avventura. 

Punto forte del romanzo è sicuramente la fantasiosa caratterizzazione dei personaggi. Oltre alla signora mongolfiera, un altro personaggio fantastico è Giangi, il parrucchiere che taglia i capelli a forma di frutta e ortaggi. Ci sono tante altre figure strambe e fantasiose, ma non ve le descrivo per non rovinarmi la sorpresa nella lettura. Ho trovato la storia piacevole, anche se mi aspettavo qualcosa in più, ma sicuramente è un ottimo esordio nella letteratura per ragazzi. 

Il lettore si trova in una specie di Paese delle Meraviglie con personaggi bizzarri. La storia è molto carina, dallo stile scorrevole, e tratta del tema dell’imperfezione e della paura di sbagliare.

Nel libro sono presenti delle deliziose illustrazioni, realizzate da Alessandra Cimatoribus, sia a matita che a colori, che rappresentano i personaggi surreali che incontra la piccola Tina. 

Un’avventura che che catapulta una bambina perfetta in un mondo imperfetto. 

#Prodottofornitoda @Salani

 

Zarina di Ellen Alpsten | Recensione

Zarina

Ellen Alpsten

Palazzo d’Inverno, febbraio 1725. Quando lo zar Pietro il Grande esala l’ultimo, travagliato respiro, sua moglie Caterina i è la regina astuta e seducente che tutti hanno imparato a temere e ad ammirare. La donna piena di risorse che ha profuso ogni sforzo pur di rimanere al fianco dell’imperatore; colei che più di ogni altra lo ha amato e odiato, aiutato e tradito, subìto e saputo domare. Ma nel passato di Caterina c’è molto di più. Figlia illegittima di un contadino della Livonia, prima che l’incontro con l’imperatore di Russia le cambiasse il nome e la vita, Caterina era Marta: sposa poco più che bambina di un soldato svedese, domestica al servizio di un pastore in Lettonia, salvata da un ufficiale dell’esercito russo, serva del principe Menšikov. Non c’è sopruso, violenza o barbarie che Marta non abbia provato sulla propria pelle e, adesso che lo zar è morto, l’ultima, decisiva battaglia la attende: quella per il potere. La parabola drammatica e trionfale di Caterina i di Russia rivive in un racconto storicamente accurato, trascinante, appassionato e appagante come solo la vita vera sa essere.

Non sarebbe stato difficile evocare le lacrime: nel giro di qualche ora avrei potuto essere morta o desiderare di esserlo, oppure sarei potuta diventare la donna più potente di tutte le Russie. 

Un romanzo avvincente con una protagonista arguta e seducente.

Zarina è un romanzo storico che tratta di Caterina I, moglie di Pietro il Grande, uno zar che viene ricordato soprattutto per essere stato un sovrano illuminato che ha fondato la bellissima San Pietroburgo. 

Nel primo capitolo ci troviamo nel 1725, anno in cui lo zar Pietro muore e Caterina I si trova in una posizione molto delicata. Se non si ha una piccola infarinatura su questo periodo storico della Russia, probabilmente queste prime pagine potrebbero disorientare il lettore perché compaiono personaggi e si introducono situazioni non molto chiari; ma la narrazione prende piede già dal secondo capitolo, quando Caterina inizia a raccontare la sua storia. 
E così il lettore scopre che la moglie di Pietro il Grande non si chiamava Caterina, ma Marta, la figlia illegittima di un contadino.

Nella prima parte del romanzo si seguono le vicende di Marta, una ragazza che subisce soprusi e violenze in una società maschilista. Viene descritta come una donna che cerca di non perdersi d’animo, non è colta, non ha ricevuto nessuna istruzione, ma è intelligente e arguta, caratterista che ho apprezzato molto. E’ la tipica donna che anche se si trova in una situazione di netto svantaggio, cerca di portare l’acqua al suo mulino e di trarne qualche beneficio.

La storia è focalizzata su Marta che è la protagonista indiscussa e nella prima parte del romanzo scopre le vicende politiche della Russia e delle imprese dello zar attraverso i racconti delle persone per le quali lavora. Quando poi c’è l’incontro con Pietro, da cui nasce il coinvolgimento amoroso, la protagonista inizia ad avere un ruolo più attivo negli avvenimenti storici.

La prima cosa che ho amato di questo romanzo è proprio lo stile di scrittura che è scorrevole e fluido. La storia è ben ritmata e il lettore segue l’evoluzione di Marta che da figlia di un contadino diventa imperatrice, grazie alla sua tenacia e arguzia. Ho apprezzato anche la caratterizzazione di Pietro che viene descritto, come ci dice la storia, come un sovrano curioso, rivoluzionario, che ama viaggiare e scoprire i lussi e le bellezze degli altri paesi, per poi portare tutta la conoscenza assimilata nel suo regno. 

Un romanzo storico che  mette in luce gli avvenimenti che hanno scandito l’evoluzione russa di quel periodo, il tutto reso intenso e accattivante dalla storia d’amore tra lo zar e la serva. Ellen Alpsten riesce a creare il giusto equilibrio tra avvenimenti storici, intrighi politici e relazione amorosa, e narra una storia avvincente con una protagonista intrigante. 

Alla corte dello zar tra lussi, vizi e desideri sfrenati che abbattono la morale dell’epoca, si snoda la storia appassionata tra Pietro il Grande e la sua Caterina che vi intratterrà fino all’ultima pagina. 

#Prodottofornitoda @DeAplanetalibri

Mignolina illustrato da Mazzoni | Recensione

Mignolina 

di Handersen illustrato da Marco Mazzoni

Rospi, Maggiolini, topi e talpe: tutti vogliono fermare mignolina, la minuscola bambina appena sbocciata. Grazie a una Rondine, lei sceglie la libertà. Un nuovo sguardo su una fiaba intramontabile, che è un inno alla diversità, al coraggio e alla capacità di cambiare.

Era proprio un tulipano, ma al suo interno, sul pistillo verde, era seduta una bambina piccola, graziosa e delicata, alta poco più di un mignolo. Perciò la donna la chiamò Mignolina.

Una fiaba con delle illustrazioni dettagliate e oniriche. 

Bene o male quelli della mia generazione conoscono la storia di Mignolina, una fiaba di Hans Christian Andersen che però non rientra sul podio delle fiabe più note. Infatti la storia più famosa dell’autore è La Sirenetta, di cui abbiamo avuto, e abbiano tuttora, varie rivisitazioni. 

Con quest’albo non solo Rizzoli ripropone una fiaba un po’ più ricercata, ma con l’interpretazione dell’illustratore Marco Mazzoni la storia prende più corpo.

Tutto parte dal desiderio di una donna nel voler avere una figlia e grazie all’aiuto di una strega nasce Mignolina. La protagonista è una bambina delicata e bellissima, alta quanto un mignolo. Per una serie di disavventure si troverà ad avere a che fare con vari animali, i quali avranno problemi con sua la diversità. 

Rileggendo la storia sono tornata un po’ bambina e, per quanto non ami particolarmente la fiaba di Mignolina, non ho potuto fare a meno di innamorarmi delle illustrazioni di Marco Mazzoni. Le tavole dalle tinte pastello sono in continua evoluzione. L’illustratore segue la crescita e il cambiamento interiore di Mignolina e così i colori e i particolari si intensificano, creando dei veri e propri capolavori. Mazzoni non realizza delle illustrazioni che rappresentano in modo letterale gli avvenimenti del racconto, ma dà una sua interpretazione molto onirica e poetica in base all’evoluzione di Mignolina.

Un racconto classico della letteratura per l’infanzia che parla di una bambina che accetta la sua diversità, prende coraggio e cresce. 

#Prodottofornitoda @Rizzoli

 

Leopardo nero, lupo rosso di Marlon James | Recensione

Leopardo nero, lupo rosso

Marlon James

Mistero e magia, potere e sangue sono gli elementi portanti di questo straordinario romanzo epico, il primo fantasy ambientato in un’Africa dove leopardi e lupi si mescolano con uomini dai poteri sovrannaturali. Già opzionato per una serie televisiva, Leopardo nero, lupo rosso è il primo libro di una trilogia, accolto con enorme successo in US e UK. Nello straordinario primo romanzo della trilogia Dark Star di Marlon James, mito, fantasia e storia fanno da sfondo alle avventure dell’Inseguitore, un mercenario ingaggiato per trovare un bambino scomparso tre anni prima. L’Inseguitore è famoso per le sue doti di cacciatore solitario – «Ha un gran fiuto», dice la gente -, ma per questa missione deve lavorare con un eterogeneo gruppo di personaggi, ciascuno dei quali si porta dietro un segreto. Primo fra tutti il muta-forma Leopardo. In viaggio sulle tracce del bambino, l’Inseguitore si sposta da un’antica città all’altra, si addentra in fitte foreste, attraversa fiumi vorticosi e si scontra con mostruose creature decise a ucciderlo. In quella lotta quotidiana per la sopravvivenza, comincia allora a chiedersi chi sia veramente il bambino che sta cercando, chi vuole impedirgli a tutti i costi di trovarlo e soprattutto chi mente e chi dice la verità. Leopardo nero Lupo rosso è il primo romanzo della trilogia Dark Star, scaturita dalla sfrenata immaginazione di Marlon James, già vincitore del Man Booker Prize. Opzionato da Warner per una serie TV, il libro è un fantasy epico immerso nella storia nelle leggende e nel folklore di un’Africa mitica e bellissima.

E forse è per questo che le grandi storie che ci raccontiamo sono così diverse.  Perché noi raccontiamo storia per vivere e quel genere di storia ha bisogno di uno scopo, quindi quel genere di storia dev’essere una bugia. Perché alla fine di una storia vera, c’è soltanto spreco. 

Un fantasy per adulti originale, violento, irriverente e cinico. 

Negli ultimi tempi in Italia stanno arrivando sempre più fantasy che si rivolgono a un target maturo, e questo primo volume di una trilogia rientra proprio in questa categoria. 

L’autore fonda le basi di “Leopardo nero, Lupo rosso” in uno scenario africano, originale e pieno di misticismo dove si intrecciano magia, maledizioni, streghe, anti-streghe, muta-forma, demoni, divinità, riti di iniziazione, il tutto enfatizzato da un’atmosfera cupa e selvaggia.

Inseguitore è un uomo che fin da piccolo ha avuto un’infanzia difficile dovuta a un padre manesco, rozzo e ubriacone, e una madre che semplicemente sottostava alle violenze. Anche quando il nostro protagonista decide di scappare per trovare una sua dimensione, la sua vita viene costellata da delusioni, violenze atroci, stupri e tradimenti. Questi avvenimenti forgiano il suo carattere cinico e irascibile.

In un’alternanza tra presente e passato il lettore conosce la vita di Inseguitore e alcuni dei personaggi che intrecciano il suo cammino. Uno tra questi, che ha un ruolo importante, è Leopardo.
Leopardo è un muta-forma irriverente, è molto semplice nei suoi ragionamenti, non è scaltro e guardingo come il protagonista, e questo mix l’ho amato, trovandolo bilanciato e a tratti divertente.

Il libro ha un ritmo un po’ lento all’inizio, man mano che si va avanti il tutto diventa più incalzante. La trama principale è molto complessa per quel che riguarda la scomparsa del bambino, su chi sia, sul perché il mercante di schiavi richieda di trovarlo e le carte in tavola cambiano più volte, facendo entrare in crisi il lettore (nel senso positivo del termine) che tenta di andare avanti nella lettura cercando la verità. L’autore realizza così una trama molto intricata, non solo per gli intrighi e le cose dette e non dette sull’enigma del bambino, ma anche per la moltitudine di personaggi ben caratterizzati e complessi che interagiscono in queste poco più di seicento pagine.

Lo stile dell’autore è molto particolare, a tratti l’ho trovato un po’ confusionario soprattutto nelle descrizioni delle scene oniriche, ma devo ammettere che Marlon ha un’abilità magistrale nel raccontare le scene di violenza, alcune le ho trovate talmente ben scritte da farmi venire i brividi.  Il libro è pieno di violenze di ogni tipo, non solo nelle scene, ma anche nel linguaggio. Personalmente ho trovato un po’ pesante la continua presenza di volgarità e parolacce nei dialoghi, è vero che parliamo di mercenari, ma sono dell’idea che, come in ogni cosa, il troppo storpia. 

Come ho detto prima ci troviamo in un ambiente africano con tribù, riti di iniziazione e magia. Per quanto riguarda le relazioni non aspettatevi le storie d’amore tormentate e struggenti, qui è tutto molto istintivo. Eppure, in questa cornice selvaggia in cui l’uomo è un tutt’uno con la natura e i suoi istinti, il lettore scopre anche l’animo di Inseguitore a partire dalla sua prima infatuazione per l’amico Kava. Il protagonista spesso prova dei sentimenti per determinati compagni e ho adorato questo suo essere combattuto su ciò che prova e la sua maschera da uomo cinico. 

Marlon James non si limita a far conoscere al lettore perfettamente Inseguitore, ma anche alcuni dei personaggi più importanti, permettendo di scorgere qualcosa sul loro passato e di comprenderli.

Leopardo nero, lupo rosso è un fantasy violento e cinico, in cui la parola d’ordine è “arrovellarsi il cervello” per la trama complessa e misteriosa. Il lettore non può far altro che farsi trascinare dall’ambientazione africana colma di magia, maledizioni e di creature fantastiche e inquietanti.

#Giftedby Frassinelli

Kitchen di Banana Yoshimoto | Recensione

Kitchen 

Banana Yoshimoto

“Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina…”. Così comincia il romanzo di Banana Yoshimoto, “Kitchen”. Le cucine, nuovissime e luccicanti o vecchie e vissute, riempiono i sogni della protagonista Mikage, rimasta sola al mondo dopo la morte della nonna, e rappresentano il calore di una famiglia sempre desiderata. Ma la famiglia si può non solo scegliere, ma anche inventare. Così il padre del giovane amico Yuichi può diventare o rivelarsi madre e Mikage può eleggerli come propria famiglia, in un crescendo tragicomico di ambiguità. Con questo romanzo, e il breve racconto che lo chiude, Banana Yoshimoto si è imposta all’attenzione del pubblico italiano mostrando un’immagine insolita del Giappone , con un linguaggio fresco e originale, quasi una rielaborazione letteraria dello stile dei fumetti manga.

Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina. 

Un romanzo delicato e dalla scrittura fluida. 

Kitchen è il terzo volume che leggo di Banana Yoshimoto e devo dire che mi sono approcciata alla lettura aspettandomi molto, dato che questo è considerato il lavoro migliore dell’autrice. 

Mikage è una ragazza che rimane sola al mondo dopo la morte della nonna e per problemi economici è costretta a cambiare casa. Proprio nel momento del bisogno arriva Yuichi, un giovane che conosceva sua nonna e le propone di stare a casa sua fin quando non trova una nuova sistemazione. 

Ma perché proprio il titolo Kitchen? Perché la protagonista ha un rapporto particolare con la cucina e il cibo. Per lei la cucina non è solo un luogo dove preparare il pranzo e la cena, ma è un posto che richiama calore, famiglia e sua nonna. 

Il romanzo parla della solitudine dei giovani e della morte, due punti che spesso riscontro nei romanzi di Yoshimoto, la quale ha l’abilità innata di trattare in modo così fluido e leggero questi concetti senza però sminuirne l’importanza. 

Devo dire che mi aspettavo molto di più da questa storia. Mikage è una protagonista che a volte non mi ha convinta particolarmente e l’ho trovata molto statica. Ho però adorato la caratterizzazione di Yuichi, un ragazzo introverso che vive da solo con un padre che ha fatto l’operazione per diventare una donna. Questo particolare ha dato più corpo alla storia sollevando altri punti interessanti inerenti alla società giapponese. 

Il rapporto di Mikage e Yuichi si evolve lentamente e tutto nasce dal dolore, due anime che si completano stando vicine. 

Anche se mi aspettavo molto di più da questo libro, Kitchen è stata comunque una piacevole lettura ed è sicuramente un titolo da tenere in libreria se amate lo stile di Banana Yoshimoto. 

Nella bocca del lupo di Morpurgo | Recensione

Nella bocca del lupo

Morpurgo

Francis e Pieter, due fratelli molto uniti eppure così diversi. Quando scoppia la seconda guerra mondiale scelgono strade opposte: Pieter si arruola nell’aviazione britannica e va a combattere, mentre Francis, convinto pacifista, fa obiezione di coscienza e si ritira nella campagna francese. Le loro idee sembrano guidarli, ma la guerra travolge tutto e Francis si ritroverà solo di fronte al nemico. Uno dei più grandi autori per ragazzi contemporanei attinge alla storia vera dei suoi zii per dar voce alla lunga e commovente lettera di un uomo che, nel giorno del suo novantesimo compleanno, ricorda il fratello scomparso settant’anni prima. Il testo è accompagnato dalle raffinate ed evocative illustrazioni di barroux.

Eri sempre stato così sicuro di te. Volevi essere un grande attore ed è ciò che eri diventato. Quanto a me, i ritrovai un giorno davanti a una classe di quaranta bambini, cercando di fare l’insegnante.

Una storia dai toni malinconici che ripercorre, attraverso i ricordi di Francis, alcuni momenti della seconda guerra mondiale.

La storia si apre con Francis che festeggia il suo novantesimo compleanno. Al termine della festa, prima di addormentarsi, l’anziano si perde nei ricordi del passato e si sofferma sulle persone che non ci sono più.

Con uno stile dolce e nostalgico, il lettore ripercorre le tappe e i legami più importanti della vita di Francis, dal rapporto con il fratello Pieter, al primo incontro con la moglie, fino ad affrontare le scelte che lo hanno portato a contatto con la guerra.

La storia è accompagnata da delle delicate illustrazioni in bianco e nero di Barroux che enfatizzano ogni ricordo del protagonista, lasciando un velo di tristezza nel lettore.

La trama ha un buon ritmo, le parole scorrono velocemente con uno stile semplice e delicato, e ciò non va a sminuire l’atrocità della guerra. Ciò che dà una marcia in più a questo libro è la presenza delle foto delle persone che vengono nominate. Questa chicca, presente alla fine del volume non solo rende la trama più concreta, ma il trasporto emotivo sale quando si focalizza che la storia è un omaggio che fa l’autore ai suoi parenti. 

Nella bocca del lupo non è solo un libro per ragazzi che racconta di come la guerra abbia condizionato la vita di Francis, ma è anche un omaggio di un nipote che decide di raccontare la storia dei suoi zii.

#Prodottofornitoda @Rizzoli